Slot del clan a S. Maria C.V., Zagaria fa i nomi di presunti sodali e prestanome

Le dichiarazioni di Ciccio ‘e Brezza negli atti del ricorso presentato dalla Dda contro l’assoluzione di Giuseppe Diana, genero di Elvira Zagaria

Giuseppe Diana, Giovanni Garofalo e Francesco Zagaria
Giuseppe Diana, Giovanni Garofalo e Francesco Zagaria

CASAPESENNA – “Collaborava con Giovanni Garofalo nella gestione delle slot machine”: è uno dei compiti che Giuseppe Diana, alias Peppe ‘o biondo, secondo il pentito Ciccio ‘e Brezza, al secolo Francesco Zagaria, avrebbe svolto per il clan dei Casalesi. “Il fatto che assisteva ai miei colloqui con Garofalo mi lasciava intendere che era pienamente inserito nel contesto della cosca”, ha dichiarato il collaboratore di giustizia ai magistrati dell’Antimafia. Queste informazioni sono state inserite dal pubblico ministero Giulio Monferini nel ricorso che ha presentato in Corte d’appello contro la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Firenze, con rito abbreviato, l’11 novembre scorso nei confronti proprio di Peppe ‘o biondo, del fratello Raffaele, entrambi di Casapesenna, e di altri quattro imputati. Si tratta di Antonio Esposito, 50enne, originario di San Cipriano d’Aversa, Raffaele Napoletano, 46enne, di Casapesenna, e dei germani Enrico e Amedeo Laudante, residenti a Casal di Principe. I sei imputati sono accusati di aver messo in piedi un’associazione a delinquere, con base in Toscana, attiva tra il 2016 e il 2018, finalizzata a commettere frodi fiscali, a riciclare denaro e a trasferire fraudolentemente beni: il tutto con l’aggravante di aver favorito il clan dei Casalesi. Ma il Tribunale di Firenze ha ritenuto non fondata questa tesi e li ha dichiarati non colpevoli. Ad assisterli i legali Guido Diana, Graziano Sabato, Pasquale Verde, Carlo De Stavola, Domenico Cesaro e Gianfranco Carbone.

“Diana – ha sostenuto Ciccio ‘e Brezza – era l’unica persona incaricata da Garofalo per la riscossione dei guadagni derivanti dalle slot che gestivo sul territorio di cui ero capozona. Consentiva solo a Diana di venire a parlare con me”.

Ciccio ‘e Brezza ha raccontato di essersi tuffato nel business delle macchinette agli inizi del 2000, quando costituì la Andromeda srl. “Con questa società – ha dichiarato – emisi diverse fatture di importo considerevole in favore di un consorzio riconducibile a Domenico Ventriglia, Antonio Cantelli e Aldo Schiavone, e un certo Lorenzo, i quali erano impegnati in attività edilizie nella zona di Sant’Andrea e a S. Maria Capua Vetere. Con queste false fatture mi facevo pagare il 10 per cento dell’Iva che il consorzio mi versava con assegni intestati all’Andromeda. Si trattava di assegni di 12.500 euro che versavo tramite l’amministratore a me riconducibile, Nicola Tafuri, sul conto della Banca Popolare di Bari di S. Maria Capua Vetere. Erano assegni diversi, a seconda che fossero girabili e quindi di 12.500 euro, oppure non trasferibili, dell’importo di circa 20mila euro. Mentre quest’ultimi dovevano essere versati per forza sul conto dell’Andromeda, aperto presso la banca di S. Maria C.V., quelli da 12.500 venivano dati a Luigi Laganà”. Quest’ultimo, ha aggiunto il pentito, prelevava il contante per consegnarglielo.

E dove finiva questo denaro? “Una parte – ha riferito Zagaria – la destinavo a Franco Sparaco, affinché acquistasse le macchinette che provvedevo io a collocare. Laganà fino al mio arresto del 2019 lavorava presso il parcheggio La Reggia e fino a quella data ha continuato a percepire uno stipendio che gli corrispondeva Carmine Papale, a cui poi affidai il servizio di gestione delle slot. I proventi che derivavano dalla gestione di queste slot – ha continuato il pentito – li trattenevo in parte per me e in parte li destinavo al clan attraverso Garofalo e dopo la sua cattura, nella primavera del 2011, passai i proventi agli Schiavone per diretta volontà di Carmine Schiavone”. Stando al racconto di Ciccio ‘e Brezza, “Giuseppe Diana fungeva da emissario e da riscossore di questi proventi per conto del clan Zagaria”.

La data in cui prenderà il via il processo dinanzi alla Corte d’appello di Firenze per Peppe ‘o biondo, il fratello Raffaele e gli altri 4 imputati non è ancora fissata. E quello non è l’unico processo che dovrà affrontare Giuseppe Diana, genero di Elvira Zagaria (sorella del capoclan Michele): è a giudizio, infatti, davanti al Tribunale di Napoli, pure per mafia (il verdetto dovrebbe essere letto dal giudice a fine mese). I provvedimenti cautelari innescati in questi anni dalle due inchieste a suo carico (ci riferiamo a quella della Dda di Firenze e quella della Dda di Napoli) sono stati tutti annullati.

Laganà, Sparaco, Papale, Cantelli, Aldo Schiavone, Tafuri e Ventriglia, indicati dal pentito Zagaria, sono estranei ai processi che sta affrontando il casapesenese, non sono, per quanto ne sappiamo, sottoposti ad attività di indagine e devono essere considerati innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile (ragionamento che, logicamente, vale pure per gli imputati che a breve affronteranno l’Appello a Firenze).

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