Tornano i lupi, occhio ai bracconieri

NAPOLI – Legambiente celebra per il World wildlife day – che si tiene oggi – il ritorno dei grifoni sugli Appennini e dei lupi in tutta Italia, con le popolazioni segnalate come in crescita. Secondo il rapporto ‘Natura selvatica a rischio in Italia’ “se da un lato alcune specie a rischio estinzione o in pericolo, grazie a numerosi progetti di tutela avviati negli ultimi 30 anni, stanno ripopolando lentamente” il nostro Paese, “dall’altro non mancano le difficoltà; come la convivenza tra uomo e grandi predatori, tipo lupo e orso”.
Torna infatti “a crescere in Appennino la popolazione del grifone, con 64 coppie nidificanti contate nel 2022, così come quella del lupo che raggiunge quota 3.300 esemplari” in tutta Italia.

Tuttavia, in nome della sicurezza stradale, a dicembre 2022 il Governo ha inserito nella Legge Finanziaria una norma che consente l’abbattimento della fauna selvatica anche nelle aree protette e nelle città.
“Non ci appare un caso – nota l’associazione – il fatto che, dalla nostra raccolta di dati, da dicembre 2022 a febbraio 2023 il numero dei lupi morti per bracconaggio sia più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo di dodici mesi prima: 11 lupi uccisi contro 5. I 9 casi di bracconaggio rilevati da dicembre a febbraio sono avvenuti in Toscana, Lazio, Calabria, Campania, Veneto, Liguria, Trentino-Alto Adige (2) e Marche (2).

Questo dimostra che il fenomeno del bracconaggio continua, come sempre, ad essere estremamente diffuso”.
Legambiente smentisce anche le storie di lupi affamati che aggrediscono senza motivo gli esseri umani: “Sono leggende o falsità fatte girare ad arte. Il lupo, in Europa, non è considerato una specie pericolosa per gli esseri umani. Secoli di difficile convivenza con l’uomo hanno plasmato il comportamento del lupo, il quale se può, evita l’uomo. Non esistono infatti casi documentati, dal dopoguerra ad oggi, di attacchi di lupo all’uomo se si eccettua il caso recente di un animale però problematico perché sin da cucciolo era stato sottratto alla sua vita naturale. L’importante, in caso di un avvistamento diretto, è evitare ogni forma di disturbo e mantenere tutti i comportamenti di rispetto che bisogna sempre assumere nei confronti della fauna selvatica”.
E non c’è alcuna “invasione” delle città da parte degli animali, che piuttosto “si adattano a quello che offrono le risorse. Uno dei motivi fondamentali che portano specie selvatiche (non solo lupi, ma anche cinghiali, volpi, uccelli e altre) a frequentare in maniera sempre più massiccia le nostre città è rappresentato dalla disponibilità di rifiuti organici abbandonati o facilmente accessibili e scarti alimentari lasciati incustoditi”.

Buone notizie arrivano anche dalle “isole pontine dove si registra un successo riproduttivo delle berte nidificanti, berta maggiore e berta minore, anche se restano tra le specie in pericolo insieme all’uccello della tempesta. Preoccupa nel mar Mediterraneo la situazione dei pesci cartilaginei. L’impatto maggiore delle attività umane sulle popolazioni di squali, razze e chimere deriva dalle catture accidentali durante le attività di pesca professionale. Tra le specie in pericolo critico, anche il palombo, la manta mediterranea e il palombo stellato. Desta preoccupazione la norma sulla fauna selvatica che favorisce la caccia libera nelle aree urbane e in quelle protette”.

“L’Italia deve accelerare il passo nella tutela della flora e fauna – spiega Legambiente – aggiornando norme e strategie, investendo risorse adeguate per frenare la perdita di biodiversità. Mancano solo 7 anni per centrare gli obiettivi al 2030”.
Legambiente racconta poi alcune buone pratiche, esempi di tutela, collaborazione tra istituzioni e corretta convivenza: dalle squadre di primo soccorso per aiutare i delfini impigliati nelle reti alla winter school sulle prealpi Giulie ai ‘guardiani’ della Sila.
Secondo l’ultimo report della Fao sullo stato della pesca nel mar Mediterraneo e nel mar Nero, la maggior parte degli stock ittici continua ad essere pescata oltre i limiti di sostenibilità biologica. Le specie maggiormente sfruttate sono il gambero viola (Aristeus antennatus), il nasello (Merluccius merluccius) e diverse specie pelagiche, come le sardine.

Va ricordato che il Mediterraneo è considerato uno dei mari più inquinati della Terra. Ben 1.178.000 tonnellate di plastica si sono accumulate nel Mare Nostrum in base a quanto descritto in uno degli ultimi report della IUCN7.
I rifiuti e le microplastiche tendono a depositarsi principalmente sui fondali e sulle coste. Si sostiene che la principale causa dell’inquinamento da plastica sia la cattiva gestione dei rifiuti sulla terraferma. Un’altra minaccia per gli ecosistemi marini è data dalla diffusione delle specie aliene: centinaia di pesci, meduse, gamberi e altre specie provengono da ambienti esterni alla regione. Molte di queste hanno formato popolamenti stabili e destano preoccupazione non solo per gli ecosistemi ma anche per le comunità di pescatori locali.

Infine, per quanto riguarda i modelli climatici, si prevede che il bacino del Mediterraneo sarà una delle regioni più influenzate dalle attuali tendenze di riscaldamento globale e dall’aumento degli eventi metereologici estremi. Poiché questa regione è considerata un modello in miniatura degli oceani, le azioni di conservazione e le soluzioni adottate per proteggerla saranno fondamentali anche per prevenire il declino della biodiversità e il degrado degli habitat marini a scala globale.

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