Risse e coltelli, i ragazzi troppo isolati

Risse e coltelli, i ragazzi troppo isolati
Risse e coltelli, i ragazzi troppo isolati

NAPOLI – Coltelli e risse tra adolescenti. Sedicenni con tirapugni e lame nelle tasche. Sabato un ragazzino fermato dalla polizia con uno sfollagente nello zaino, come se fosse un iPad. Tutti affidati ai genitori. Cambierà qualcosa? O il prossimo fine settimana sarà un’altra scia di sangue e violenza? “La devianza, specie in zone di movida serale, ha raggiunto proporzioni incontrollabili – scandisce al telefono Giuseppe Scialla, garante dell’Infanzia e dell’adolescenza in Campania – l’adolescenza è una età incerta, perché è carica di conflitti interiori e rende i ragazzi privi di certezze, di speranze e pertanto intolleranti all’organizzazione sociale e ai limiti della loro partecipazione attiva ai processi di cambiamento”. Dunque, quale potrebbe essere l’origine del disagio? “Inascoltati e insoddisfatti delle loro richieste di spazi sociali e di svago, i ragazzi cercano protagonismo”. E poi cosa accade? “L’intolleranza si trasforma rapidamente in rabbia e contestazione con ogni mezzo e in ogni luogo.
La mancanza di attenzione ai loro problemi di quotidianità si associa alla mancanza di sorveglianza pubblica (sono del tutto inutili le videocamere del ‘dopo’, del già successo, se non vi sono forme e azioni di controllo ‘preventivo’ (del prima) e alla mancanza di stimoli, che li rendano attivi e utili nella città per la società. Tali mancanze, alimentano la monotonia e la noia sociale”.
Come si lega questo alla deriva sociale? “Reagiscono con  gesti violenti ed estremi, spesso senza alcun vantaggio, pur di testimoniare il bisogno di maggior attenzione dell’intervento pubblico”. Cosa potrebbe succedere ora?
“Cresce la devianza a Napoli quale risposta alla diffusa povertà educativa. V’è la necessità che adulti responsabili e con poteri si incontrino al più presto per pianificare diversificate azioni territoriali e innovare modelli di sostegno ai giovani. È giunto quel momento inderogabile di azioni concrete ed efficaci da parte delle istituzioni responsabili senza le quali non vi è più speranza di salvezza”.
Ed ecco i fatti. A Marechiaro una zuffa tra cinque ragazzini è finita a coltellate. E un sedicenne è ricoverato in ospedale con gravi ferite all’addome. Stesso copione a Posillipo. Sabato notte un sedicenne di Scampia è stato accoltellato sei volte tra braccia, torace e dorso in piazza della Libertà. Era appena arrivato in una Smart con un amico, aggredito da un ragazzo poco più grande di lui “senza un motivo”. Di nuovo ieri notte a Ponticelli. E dopo poco un ragazzo di Casalnuovo ferito. Tutti tra i 14 i 18 anni. Succede in Campania, certo, così come in tutta Italia. Ogni giorno gli episodi sono decine, da Nord a Sud. Una deriva sociale? Cosa accade? Per il segretario del gruppo politico ‘Per le Persone’, Giuseppe Irace, “è un fenomeno complesso e va affrontato come tale. Evitiamo slogan e ‘misure pubblicitarie’, stop a chi parla per provocazioni e fa la gara a chi la spara più grossa.
Inoltre è necessario un reale presidio del territorio carabinieri, polizia, municipale”.
Basta questo per tornare alla ‘normalità’? “No, assolutamente. Possiamo mai mettere un agente ad ogni scoglio, o in ogni luna park?
Ancora non si effettua davvero una lotta seria al lavoro nero, che troppo spesso nasconde anche il lavoro minorile.
Ed è necessario che i bambini e i giovani passino il minor tempo possibile in strada, senza meta e senza qualcuno vicino. Non solo. Serve l’orario prolungato a scuola, come norma e non come eccezione (come avviene in Lombardia, o in Basilicata).
E poi sistema di trasporto studenti capillari, semiconvitti, coinvolgimento di associazioni e parrocchie per rendere più lunga possibile la giornata del minore. La logica è farsi carico e prendersi cura. O le istituzioni sono in grado di recuperare i minori e le famiglie uno a uno, o qualsiasi misura fallirà”.
Poi il prossimo step per provare a venirne fuori: “Cerchiamo di fare altro, dopo il tempo pieno sport, musica, teatro. Investire sulla cultura che non vuol dire fare eventi. E ancora introdurre nelle scuole figure di supporto specialistiche: assistenti sociali, psicologi e i tanti Centri per le famiglie che agiscono in modo sussidiario”.

“Fallimento educativo di scuole e famiglie”

Un bollettino da guerra ogni week end. Ai pronto soccorso arrivano di notte ragazzi accoltellati, pestati dal branco. Tanti i casi segnalati alle forze dell’ordine. Tutte storie simili. Basta un pretesto, per scatenare la zuffa. Con decine di ‘complici’ che filmano tutto con i cellulari. Cosa fare per fermare la deriva?  “In effetti sono diverse settimane che noto un crescente riversamento nelle strade di ragazzini sempre più piccoli in cerca di divertimento – racconta Francesco Zamagni, venti anni, che la ‘movida’ nel centro storico la vive – ben venga che abbiano ritrovato la gioia dello stare insieme dopo gli ultimi anni di isolamento sociale. Il problema è che non sono stati educati al divertimento e per questo sono sempre in cerca di nuove esperienze e di nuove amicizie”. Qual è il problema dei giovani di oggi? “Questa foga con cui hanno ripreso a vivere li porta a superare i limiti del civile, a cui pure non sono stati educati”. 

Perché siamo arrivati a questo punto? Non si poteva correggere la rotta prima? Cosa si poteva fare e non è stato fatto? “In questo, ahimè, è responsabile innanzitutto il sistema scolastico che, se nell’era pre-pandemica aveva qualche crepa, ora sta definitivamente crollando su se stesso e dimostrando di non essere in grado di fronteggiare la sfida educativa di questi tempi così complessi. A questo si aggiunge la propaganda criminale che sui social è sempre più diffusa ed ha un potere attrattivo immenso, anche su quei ormai pochi giovani, che le regole del vivere civile le hanno ricevute in famiglia”. 

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